Crisi economica

Castello di carte

In cima alle agende politiche di tutti i governi mondiali c’è, con una marcata sottolineatura, la crisi economica- finanziaria che sta sconvolgendo l’ordine delle cose stabilitosi negli ultimi anni.
In questo senso tanto è stato scritto e ancor più detto, dimenticando però tante volte di andare a ritroso per individuare le cause di ciò che ha preparato la strada a questa grave crisi.

L’Italia negli ultimi anni ha seguito il modello di sviluppo economico prima Americano e poi importato in Europa dalla Gran Bretagna, questo prevedeva una graduale ma decisa sostituzione dell’economia industriale primaria con un’altra finanziaria, di servizi e terziaria.
In Italia la sostituzione dell’operaio con il consulente finanziario è stata più graduale ma si è comunque completata; l’abbandono dell’industria non è solo preoccupante per i posti di lavoro che si sono persi o per la mancata ricerca che i grandi gruppi riuscivano a compiere e mettere poi, di riflesso, a disposizione della collettività, è grave in primo luogo perché ha favorito un radicale cambiamento culturale che ha visto il lavoro reale ricoprire una marginalità nella società.

La realtà nelle fabbriche è peggiorata di molto in materia di sicurezza, salario e diritti così si torna a parlare di riforma-svuotamento del contratto nazionale, alle morti bianche vengono riproposti discorsi triti e vani e i promotori di politiche ottocentesche siedono ora in Parlamento e non solo tra le file del centro-destra.

Questa degenerazione culturale ha portato alla scomparsa dalla coscienza collettiva della classe e del lavoro operaio, queste non hanno più trovato spazio sui media, nella televisione d’intrattenimento e perfino nei bar; e al suo posto si è invece diffuso un concetto di lavoro e guadagno facile, astratto e spendibile in pubblica piazza.

Questa deriva non ha mancato di riflettere le sue conseguenze anche sulla classe imprenditoriale così, la disparità di trattamento in materia fiscale che lo Stato prevede tra chi il capitale lo usa quotidianamente, con la fatica e l’impegno che questo significa, per creare occupazione, sviluppo e materie prime e tra chi lo investe in un circolo vizioso d’investimenti che hanno l’unico fine della mera speculazione, risulta insopportabile.

Ora che il “castello di carte” è caduto e non ha mancato di travolgere anche chi ha continuato a lavorare di idee e fatica difendendo con le unghie la propria dignità si può solo sperare in un ritorno al concetto di lavoro come l’accezione dei padri costituenti l’avevano inteso.

Bel Paese

Mi chiedo quando, l’atteso giorno della vittoria della “ratio” sul dilagare della banalità, di cui è permeato profondamente il nostro Paese, avrà la gentilezza di manifestarsi.
L’Italia pallonara desiderosa di riscatto dopo la pessima sfilata neo fascista di Sofia accoglie, e si riabilita agli occhi dei detrattori, la nazionale di calcio con uno striscione con le parole “no politica”.
Ma, che forse i greci intendevano per far politica bruciare le bandiere di altri Paesi?
O magari che sui libri di educazione civica ci sia,e non ce ne siamo mai accorti, la raccomandazione di espatriare e portare con se spranghe,violenza e odio a rappresentare l’italian style?
Per fortuna che ci hanno pensato i protagonisti di questo carnevale in scarpini e gel, professandosi del tutto favorevoli a tenere fuori dagli stadi la politica, a dare un contributo fondamentale alla società civile smarrita e preda della banalità tracimante.

Valerio Mantovani Sestri Levante

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